(PARTE 2 - segue da 1)

Facciamo un passo indietro. Si è affrontato lo scottante argomento della < galassia criminale>, con riferimento alla pubblicazione degli esiti dell’inchiesta,nel 2002. Un lavoro di ricerca, analisi e riscontri durato, all’epoca, circa dieci mesi. Ora, a seguito di una ricerca d’archivio, autonoma, è emerso un documento antecedente: uno studio quasi parallelo relativo a “immigrazione  e  circuiti criminali”, da cui è scaturito un ulteriore collegamento, “terrorismo e criminalità”. Ecco il “passo indietro”.
Le indagini  condotte sfociano fatalmente in una ipotesi che richiede conferma o smentita, la collusione o connivenza, se non addirittura l’identificazione tra la criminalità e il terrorismo.
Una contiguità non solo operativa, ma anche, e forse,soprattutto,  concettuale. E’ questa la nuova pagina che qui si intende ricordare,  non senza rilevare la stretta connessione, in linea di principio, con la logica che motiva  e sottende alla presente rievocazione: l’indifferenza nei riguardi degli esiti delle inchieste pubblicare da “Solidarietà di Polizia”.
Quale premessa, si devono evidenziare alcune considerazioni lessicali: uso e significato del termine , in quanto sono continuamente mutati nel corso del tempo.
Il ricorso alla violenza contro un ordinamento politico ad opera di un movimento clandestino, in determinate circostanze assume la configurazione di una vendetta oppure quella di lotta
di un movimento di liberazione”, oppure, ancora, come una “guerra” condotta da un esercito regolare o che tale si definisce. La difficoltà di trovare una definizione trova riscontro nel fatto che l’Unione Europea”  abbia trovato un accordo per la definizione uniforme del concetto solo all’inizio dell’anno 2001 e solo a seguito delle pressioni esercitate dagli eventi traumatizzanti dell’11 Settembre di quell’anno negli Stati Uniti d’America. Una conferma, quindi, di quanto sia difficile giungere ad una definizione unitaria.
Le notazioni sono riprese da “Sindacato di Polizia”, numero  3, Aprile/ Maggio 2001(pag.11 e seg .).
Attorno alla metà del 2001, il Nord Est era la zona d’Italia che presentava la maggiore esposizione alla pressione migratoria  insieme con un potenziale di rischio di inquinamento dei sistemi economici locali sviluppatisi negli anni 80 e 90 intorno a diversi poli imprenditoriali con margini di ricchezza sommersa e con un’alta domanda di bisogni edonistici - industria del divertimento, gioco, droga prostituzione-.
L’impiego di lavoratori stranieri aveva assunto carattere strutturale con radicamento sul territorio a macchia di leopardo. Innescando anche tensioni sul piano dell’accoglienza e dell’integrazione.  Con segnali di pulsione xenofoba enfatizzati dalla destra radicale e dall’integralismo religioso.
Era reale, inoltre, la prospettiva di afflusso massivo di capitali sporchi della holding criminale in un’area ancora oggi retroterra e proiezione avanzata su un grande mercato per l’imminenza di una stagione di grandi opere di trasformazione economiche liberiste, si presume un che accompagnerà inevitabilmente la mutazione degli assetti geopolitici della Balcania sino al Mar Nero e all’area caspica, ricca di giacimenti petroliferi e di gas, su cui premono gli interessi di grandi potenze economiche e politico-militari.
In tale contesto il Friuli Venezia Giulia gode di una posizione in certo qual modo privilegiata: il territorio da Treviso a Muggia si pone di fronte alla Slovenia e poco oltre con la Croazia (che dista meno di 30 chilometri da Trieste, e meno di 10 minuti dal valico doganale di Rabuiese e a circa trenta minuti di navigazione da Grado (Provincia di Gorizia) e Monfalcone (idem), divenuti recentemente terminali delle rotte contrabbandiere di clandestini prelevate sulle coste istriane e dalmate.
Quella sintetizzate è una realtà geografica con la quale bisogna fare i conti in termini di sicurezza pubblica e di tutela delle regole del mercato. Inoltre si deve considerare e con somma attenzione che il disfacimento delle Jugoslavia titina nel 1991, ha provocato la liquidazione brutale e sanguinosa di un complesso equilibrio sociale, economico e politico con ricadute sulle regioni del Nord-Est e su tutto il territorio nazionale che si affaccia a levante e sull’Adriatico. Questione sottovalutata irresponsabilmente dai vari governi.
Parlare di confine orientale riferendosi soltanto alla frontiera giulia è riduttivo e sviante, perché questo confine corre ormai lungo tutta la costa adriatica della penisola, margine esterno della cosiddetta fortezza Schengen.
La problematica che ne deriva investe aspetti diversi, di dimensioni notevoli e con risvolti spesso drammatici, non solo per i flussi migratori, ma anche per ambienti delle comunità spesso ai margini delle dinamiche del mercato globale che avvertono percettivamente minacciata la sicurezza del loro mondo.
La misura dell’entità del fenomeno  dell’immigrazione clandestina è fornita, tra l’altro, dai dati resi noti dalla Questura di Gorizia e relativi ai primi nove mesi dell’anno 2000: si tratta del transito di oltre diecimila extracomunitari  >: slavi, cinesi, romeni, curdi, con un incremento del 100% rispetto ai dati del 1999 e ancor  più rispetto a quelli del1998, quando si aprì massivamente quella nuova rotta balcanica verso l’Italia e verso l’Europa.La maggior parte di tali clandestini, munita di decreto di espulsione prefettizio si allontana,  facendo perdere le proprie tracce, sul territorio nazionale o raggiungendo altre destinazioni europee. Da tenere presente che nuovi flussi si erano attuati mediante gommoni e motoscafi che giungevano dalla Slovenia e dalla Croazia, spiaggiando, secondo modalità collaudate dagli scafisti albanesi, sul litorale di Grado, Monfalcone e sino a Jesolo, Caorle e oltre.

L’inchiesta ha appurato che il fronte terrestre è fenomeno vecchio di oltre cinque sei anni, anche se è stato necessario del tempo per avere piena consapevolezza della sua entità. Più recente, invece, quello marino : l’avvio risale all’attività dei contrabbandieri che fanno base nei porticcioli tra Cittanova e Parenzo lungo la costa istriana, ma anche nelle vicinanze di Pola.
La dimensione del fenomeno, qualora siano necessari chiarimenti, è fornita da quanto segue: le Forze del’ordine alla metà di luglio del 2001 intercettarono 654  curdi e poco dopo altri 64 clandestini sbarcati nelle vicinanze del porto Buso, nella laguna di Marano e di Grado. Ebbene i clandestini, a quanto si apprese, provenivano dalla costa croata dove erano giunti via Sarajevo da Istambul. Altre provenienze, accertate durante un’inchiesta della Procura della Repubblica di Trieste, si riferivano  a cinesi e bengalesi.  Addirittura drammatico il risconto finanziario del traffico. Per la sola traversata dall’Istria alle coste giuliane, friulane o venete il prezzo era  equivalente a circa 500.000 lire,per ogni clandestino ( con carichi sino a oltre venti  unità), mentre la cifra complessiva che ciascun clandestino doveva sborsare all’organizzazione criminale per il viaggio Cina-Italia era, all’epoca, equivalente a 20 milioni di lire.
L’ultima parte del viaggio  si svolgeva a piedi attraverso i monti o via mare o ancora stipati nei doppifondi dei TIR.  Mediamente ogni anno almeno 40 mila clandestini superano il confine orientale , mentre sono stati arrestati poco meno di 500 passeur, l’equivalente terrestre degli scafisti. Stazioni di sosta dei clandestini, persino maghrebini, si trovano in Croazia, Serbia, Bosnia, Ungheria, Romania. Il primo passo, si fa per dire, il clandestino lo deve compiere per giungere a  tali stazioni di sosta; in seguito l’organizzazione organizza il movimento sovente a piedi o con mezzi di fortuna, sino al confine dove il passeur fa da guida per superare il confine e accedere al territorio italiano.  Vi sono condizioni particolarmente favorevoli per i clandestini, particolarmente in Bosnia. Sarajevo è diventata da tempo la cerniera più importante dei traffici illegali verso l’Italia perché da tempo ha abolito i visti d’ingresso per i cittadini dei paesi islamici, del mondo arabo, Iran, Turchia, come atto di gratitudine per l’aiuto ricevuto durante la guerra 1992/1995.
Così arrivano a Sarajevo,  per via aerea, gruppi di iraniani, pakistani, curdi/irakeni, unitamente a rumeni, moldavi e bielorussi che, attraverso la Croazia e la Slovenia raggiungono clandestinamente il Friuli Venezia Giulia, talvolta transitando a piedi nella zona del goriziano o  nella stessa Gorizia, dove i passaggi avvengono attraverso un confine che taglia solo virtualmente una continuità di abitato e di territori.                
Un fenomeno ugualmente in crescita, rileva a questo punto l’inchiesta, è quello dell’immigrazione  di massa di cinesi che sbarcano all’aeroporto di Belgrado grazie ai visti ottenuti in patria o all’arrivo e che poi attraverso Bosnia e Croazia e Slovenia raggiungono l’Italia.
Vi sono poi due situazioni altamente coinvolgenti aspetti criminosi dell’intera vicenda traffico di clandestini. La prima si riferisce agli arrivi massicci- e solo per un transito temporaneo- di iraniani e turchi in Bosnia, con destinazione finale l’Italia e in parte la Germania ( i turchi), e, secondo aspetto, traffici di ogni genere, droga etc. Inoltre i clandestini non giungono a Sarajevo soltanto per via aerea, ma anche lungo una direttrice che viene dal sud (Turchia, Bulgaria, Macedonia, Sangiaccato) e che prosegue verso l’Europa ripercorrendo quello che è, storicamente, il ramo principale della rotta balcanica che porta l’eroina dalla Turchia ai bacini di consumo europei, attraverso Salonicco, Skopje, Nis,  Belgrado, Zagabria e da qui a Lubiana e Spalato per la droga diretta in Italia.  L’eroina viaggia attualmente lungo lo stesso asse balcanico con una rete di corrieri controllata dai trafficanti albanesi/kosovari che stanno acquisendo un’egemonia sul traffico di contrabbando sulla prostituzione, d’intesa con la mala di Timisoara, e di stupefacenti d’intesa con i trafficanti turchi e afghani.
La questione prostituzione occupa gran parte dell’inchiesta ed è ricchissima di informazioni come pure del quadro entro cui si sviluppa lo sfruttamento che coinvolge non pochi altri aspetti.
Il fenomeno era divenuto ben visibile sulle strade del Nord-Est, talvolta nascondeva attraverso processi di mimetizzazione facilmente riconoscibili come nel caso della cosiddetta prostituzione mascherata (entraineuse, ballerine, estetiste, accompagnatrici, etc.) forme di prostituzione coatta o di vera e propria tratta a scopo di sfruttamento sessuale.
La prostituzione viaria nel Nord-Est era ed è prevalentemente albanese, che ha avuto tempo di radicamento dopo gli arrivi dei primi anni 90 e che si è rinnovata di continuo, specie con i flussi attivati nel 1997, quando gli sbarchi, particolarmente in Puglia, superavano le cinquecento unità al giorno, rovesciando sul territorio nazionale, circa ventimila clandestini in poco meno di  due  mesi. Il mondo della prostituzione albanese è caratterizzato dalla presenza di forme diffuse di violenza e di crudeltà, favorite da antiche costumanze d’oggettivazione della donna in ambito dio clan familiari e per un retaggio di subordinazione femminile, non ancora risolto  (regole  codificate dal , una specie di albanese). Il modulo albanese di ragazze trafficate tout court è stato assunto dalle componenti bosniache, moldave, bulgare, tutte in fase di espansione sotto la regia di bande di sfruttatori albanesi, kosovari che hanno attivato una che ha i suoi centri maggiori di reclutamento a Timisoara (Romania), Chisinau (Moldavia) In Kosovo, Albania, Montenegro e Macedonia, dove si è evidenziata anche una maggior domanda commessa alla presenza di un nutrito dispositivo militare e civile  internazionale, prima di essere smistate nelle zone d’esercizio occidentali.
Nei grandi centri turistici del litorale dell’alto Adriatico, un target di mercato più sofisticato è rappresentato dalla mobilità di donne provenienti dall’est europeo. Polonia, Ungheria, Ucraina, Repubblica Ceca, Slovacchia, Bielorussia.
L’organizzazione degli spostamenti assume per questo, un vero e proprio carattere manageriale: nulla è lasciato al cosiddetto spontaneismo: modalità di arrivo, località di esercizio, tempi di permanenza, tariffe e percentuali sono codificati in fase di contratto d’ingaggio.
Una vera e propria industria del sesso.
Per quanto attiene alle forme di abbandono dei paesi d’origine, una facile via d’ingresso in Italia si sono rivelati i pullman giubilari, che in particolare a Padova, ripartono con un numero di passeggeri notevolmente inferiore rispetto a quello dell’arrivo. Per molte, comunque, la permanenza nel Nord-Est è solo una tappa in attesa di essere smistate in altre località o italiane o europee, dal racket criminale che controlla il movimento e che negozia la compravendita agli incanti del sex business. Una di queste torbide aste, forse una delle più organizzate e ricca di offerta rispetto a tutti i Balcani, ha appreso l’autrice dell’inchiesta nel corso di conversazioni informali con alcune ragazze sbarcate nel brindisino fermate poco dopo lo sbarco, dalle forze dell’ordine, è attiva in una villa alla periferia di Sarajevo. Le offerte salgono sino a cinquemila e in alcuni casi a diecimila dollari per soggetti particolarmente dotati (giovani donne dell’Est bionde e sufficientemente motivate).
Nel Nord-Est la mala albanese assicura anche la provvista e la distribuzione ai dettaglianti di ingenti quantità di derivati della cannabis, della marijuana nel distretto albanese di Fier.
Il racket della prostituzione alimenta a fa da volano per l’acquisto di eroina,cocaina e droghe sintetiche richieste dal mercato del Nord-Est e in tutta l’Italia settentrionale. I proventi di queste attività sono poi reinvestiti in attività commerciali e in proprietà immobiliari in Albania e in Kosovo.
Vi sono ancora aspetti raccapriccianti in questa geografia che abbraccia tutta l’Europa orientale sino alla Cina. In sintesi (perché un racconto dettagliato richiederebbe poco meno di un volumetto): la procura antimafia di Trieste ha svelato le tappe di un lunghissimo viaggio dalla Cina a Kiev e via Romania,Ungheria, Serbia Croazia, Slovenia sino a Trieste, Padova o Mestre, viaggi controllati da organizzazioni criminali di vari paesi, tutti finalizzati allo stesso obiettivo. Secondo le risultanze processuali, ogni cinese diretto in Italia paga complessivamente ai clan malavitosi non meno di venti milioni di lire e spesso la mafia sequestra i clandestini in Italia, chiedendo ai loro familiari in Italia o in Cina il pagamento del prezzo di viaggio, un vero e proprio riscatto.
Diverse sono le rotte che dalla Cina portano in Italia: la prima, via aerea, in Svizzera da qui in trasferimento a bordo di TIR in Italia; la seconda, tutta terrestre, attraverso il Kazakistan,l’Uzbekistan fino alla Turchia per poi prendere la rotta balcanica. La terza rotta, invece, porta i cinesi a Mosca; in seguito a Belgrado e da qui alla frontiera orientale. Nel Nord-Est, come in Toscana, le comunità cinesi provengono soprattutto dalla regione costiera dello Zhee Jiang, una zona rimasta ai margini della svolta economica del nuovo corso cinese e di antico radicamento delle .
Mentre la questione dell’immigrazione clandestina cinese, rimane in primo piano, essendo vettore di criminalità potenziale, altre questioni non meno rilevanti si sono affacciate sullo scenario europeo balcanico e, infine, italiano.
Si deve prendere atto, con sorpresa, visto l’immobilismo delle autorità governative, virtualmente assenti r ignave a fronte di quanto ora si dirà, dell’evoluzione verificatasi nel Nord-Est: si deve premettere, in un orizzonte più ampio, che giàoraclan albanesi e di varia etnia slava si contendono e contendono alla mala locale il mercato delle attività criminali: droga, compresa quella sintetica, armi, prostituzione e , equivalente a racket della sicurezza. Sono mutati anche i rapporti transfrontalieri tra le aree di confine giuliane e friulane e le vicine Slovenia e Croazia.
Non pochi trafficanti e delinquenti italiani, oltre a contrabbandieri pugliesi e napoletani, nel Montenegro, trovano rifugio in Istria, favoriti dalla possibilità di mimetismo con la minoranza italiana o con i tanti turisti stanziali e pendolari italiani, dando vita a gruppi organizzati dell’holding criminale, che si muovono con disinvoltura profittando della crescita progressiva degli scambi e dei traffici tra l’Europa di Schengen e le limitrofe ree balcaniche, destinate a vedere la realizzazione dei nuovi corridoi europei, in particolare il corridoio V che collegherà Lione-Trieste-Lubiana-Budapest e Kiev e il corridoio VIII che collegherà la Puglia a Durazzo-Tirana-Shopje-Sofia e Varna, corridoi destinati a unire l’Europa atlantica al bacino del Mar Nero e alla realtà petrolifera del Caspio con un sistema integrato di collegamenti viari, ferroviari, pipeline, gasdotti ed elettrodotti.
Altro aspetto da tenere ben presente: il proliferare di casinò in territorio sloveno e croato a ridosso del confine italiano, risultano essere tuttora segnali che non possono sfuggire all’attenzione dei clan malavitosi ed i contemporanea si verifica l’aumento gli arrivi in zona di figure dotate di forti risorse motivazionali orientate verso settori di economia illegale, ad esempio un polo, quanto mai attivo e funzionale nel comparto del riciclaggio in un contesto di globalizzazione di beni e servizi.
Quello che qui immediatamente precede è la spia di uno scenario i cui sensori sono tuttora attivi, quali conseguenze di quanto seminato durante quella che v iene definita “la lunga stagione di guerre balcaniche”. Uno spaccato, sintetico di quale sia il profilo autentico dello spirito balcanico, inteso nel senso più negativo.
La stagione bellica, iniziatasi nel 1991, è stata alimentata anche dai proventi dei circuiti criminali economici, attivati dai vari signori della guerra: una criminalità , con un fra crimine organizzato, multinazionali di paradisi fiscali, organizzazioni terroristiche e bande militari o militarizzate, che sono servite a facilitare o organizzare il trasporto di armi, di petrolio, e i tanti fluissi di contrabbando, viveri, medicinali,e materiale strategico, alleanza che forse non è cessata del tutto con il ritorno ad una presunta e fragile normalità.
Infatti nel Balcani e soprattutto in Bosnia sbandati di ogni polizia e di ogni milizia e di servizi di sicurezza di ogni tipo, sono disposti a tutto per sopravvivere e arricchirsi. Gente senza scrupoli, con mezzi, armi, capacità di comunicazione, professionalità e perfetta conoscenza dei traffici balcanici sono disponibili per la guida di ogni traffico e di ogni circuito criminale.
Chi si è reso responsabile di crimini di guerra può benissimo partecipare al commercio di esseri umani, di armi, stupefacenti, per una propensione pretoriana sperimentata al servizio di logiche di potere In un orizzonte di tale spessore e profondità, spiccano gli agenti della Sicuri albanese, epurati da Berisha: hanno messo la loro esperienza e professionalità,contro sostanzioso compenso, in valuta pregiata, io in preziosi, l servizio dell’organizzazione dei primi esodi massivi dall’Albania e soprattutto nei massici esodi, addirittura nella grande ondata del febbraio/ marzo 1997, quando i natanti che trasportavano, a pagamento, centinaia e migliaia di albanesi verso Brindisi e Lecce, partivano dalla base navale dell’isola di Saseno al largo di Valona.
In quel frangente i mezzi d’informazione nazionali insistevano nel classificare quelle persone, clandestini,pur sapendo cosa vi fosse alle spalle di quella . Nessuno in Europa ritenne necessario un intervento militare, di reparti speciali, per togliere di mezzo gli organizzatori del traffico. Da segnalare, per chi abbia la memoria corta, che la maggiore quantità di mezzi utilizzati per il trasporto, era formata da motovedette e da siluranti della marina militare albanese.          

Terrorismo e criminalità

Prosegue il nostro percorso a ritroso per evidenziare quanto era stato analizzato e <previsto> mediante indagini finalizzate alla tutela della sicurezza e all’individuazione del ventaglio delle minacce che l’oggettività della situazione internazionale lasciava intravedere. Un lavoro rimasto senza alcun riscontro, un puro e semplice esercizio intellettuale, una dimostrazione, se si vuole, di quanto è stato possibile realizzare con molta tenacia e poca spesa. Un esempio insuperato di economia di mezzi, come avrebbe detto un certo grande ammiraglio britannico.
Senza indulgere in squisitezze filologiche, ma badando al sodo, si può affermare che <il terrorismo è una forma di criminalità con motivazione di tipologia politica”. Sotto altra angolatura,tra gli aspetti più crudeli e sconvolgenti dell’azione terroristica vi è il fatto che “la violenza è diretta contro persone o contro cose materiali calibrandone l’intensità e il potere devastante”. Le vittime, in estrema sintesi, rappresentano nella quasi totalità dei casi, e sempre più spesso, dei mezzi d’azione e non corrispondono agli obiettivi perseguiti dai terroristi e dai mandanti. In parole meno  complicate, le vittime sono gli strumenti di pressione nei confronti dell’avversario e, brutalmente, sono funzionali all’obiettivo.

Freddo cinismo, ma dura realtà

“Concettualmente e operativamente, da sempre alcuni gruppi terroristici cercano di rafforzare le loro organizzazioni facendo appello ad argomenti di tipo religioso. Da circa vent’anni ( alla data dell’inchiesta, n.d, redazione) il fondamentalismo islamico serve, nel mondo musulmano, ai raggruppamenti violenti quale morsa comune per il reclutamento di attivisti e simpatizzanti. A loro volta tali organizzazioni sono utili a determinati Stati della regione per alimentare tensioni e disordini. Si è innescato, quindi, un  circuito perverso, con i risultati che diuturnamente sono sotto gli occhi di tutti.”
Sin qui la parte più rilevante delle valutazioni emerse dall’inchiesta. Segue poi l’elencazione, ad esempio, degli attentati organizzati da Al Qaeda, che hanno dimostrato, tra l’altro che le società industriali moderne sono altamente vulnerabili e come sia importante proteggere le infrastrutture critiche e quelle cariche di valore simbolico. Nel contempo i modelli di azione della politica sono stati rimessi in discussione. Si evidenziano: l’influenza esercitata da esponenti  non statali, la crescente importanza della conduzione della guerra asimmetrica, nonché la necessità per i servizi informazione di procurarsi informazioni a  titolo preventivo . Infine: il fatto che i gruppi  terroristici siano in grado di operare su scala mondiale richiede l’intensificazione della collaborazione internazionale nella lotta contro il terrorismo, nonché l’adattamento internazionale delle misure preventive.
Volgendo al termine della presente “riedizione”parziale delle inchieste condotte dall’autrice, su specifica disposizione di “Solidarietà di Polizia”, riedizione intesa soprattutto ad evidenziarne la <preveggenza>, a sottolinearne  la competenza e la puntualità, non adeguatamente considerate, è il caso di lasciare alla redazione un sia pur minimo spazio per un succinto commento:
“La criminalità organizzata, è bene non dimenticarlo, è presente in misura considerevole in tutti i paesi in  cosiddetta  transizione. Ma  in Albania,Kosovo, Macedonia, Serbia e Montenegro, l’influenza dei gruppi criminali di etnia albanese, incidono fortemente nella vita economica, politica e sociale, in considerazione del  loro elevato sviluppo .
Precisata la motivazione, rimane da stendere una conclusione che non può che essere un documento, comprovante la validità dell’iniziativa e in particolare, la sua attualità. La prova non può che essere la dichiarazione di un personaggio di primissimo piano sia in politica, sia in sede storica. Ci si riferisce al Senatore Giovanni Spadolini, all’epoca della stesura del documento presidente del Senato della Repubblica.
Si riporta qui di seguito, integralmente, il testo che il Senatore volle cortesemente donare all’autore del libro “Obiettivo Mediterraneo,” Reverdito  Editore" (Gardolo di Trento) nel  mese di marzo del 1989.
“il Mediterraneo è una delle aree in  cui oggi più forte è la conflittualità periferica: basti pensare alla questione mediorientale. In esso, sotto la spinta del fondamentalismo islamico si scaricano inoltre le tensioni del Golfo Persico. Una conflittualità che è stata terreno di coltura del terrorismo internazionale, che infatti affonda le sue radici nella questione palestinese e nel fanatismo religioso. Non dobbiamo dimenticare che il Mediterraneo è anche una cerniera del rapporto Nord  e Sud, spesso travagliato e logorante.
“La sicurezza del Mediterraneo deve essere uno degli obiettivi prioritari e costanti della politica estera italiana. Da essa dipende la sicurezza stessa del nostro Paese e quella di uno dei lati più esposti della Comunità  Euroatlantica, dalla cui sicurezza la nostra  non può essere disgiunta.
“La convocazione di una Conferenza internazionale per la soluzione del problema palestinese e di una conferenza contro il terrorismo internazionale: ecco due degli obiettivi alla cui realizzazione deve mirare la politica italiana per favorire l’allentamento della tensione nell’area, il cui problema di fondo resta comunque inscindibile dalla dinamica del rapporto Est-Ovest.
“La conflittualità regionale che pregiudica la sicurezza del Mediterraneo è, in effetti, un diretta conseguenza degli anni del confronto tra i due blocchi, quando – seguendo quella che era già stata una direttiva zarista – l’espansionismo sovietico premeva in forma più o meno diretta sul Mediterraneo. L’attuale fase della distensione fa intravedere qualche spiraglio. L’apertura sovietica verso Israele, Il riconoscimento da parte del’OLP del diritto all’esistenza dello Stato Ebraico, la menzione da parte americana dei diritti del popolo palestinese, sono sintomi di una convergenza di interessi delle superpotenze.
• “Ma non dobbiamo, nella dialettica della distensione, cedere a quelle tentazioni ireniche su cui fa leva presso l’opinione pubblica occidentale l’”offensiva del disarmo” sovietica. Il ruolo dell’Italia deve essere un ruolo di punta nella Comunità Euroatlantica. La pace e la sicurezza del Mediterraneo, vitali per il nostro Paese, dipendono anche dal sostanziale equilibrio dei contrapposti schieramenti”.                 (Fine)